Autostrade per le Api da Oslo, a Londra, a Milano per salvare gli insetti impollinatori

autostrada-apioslo

Un vecchio e un  bambino si preser per mano
E andarono insieme incontro alla sera
La polvere rossa si alzava lontano
E il sole brillava di luce non vera.
L’ immensa pianura sembrava arrivare
Fin dove l’occhio di un uomo poteva guardare
E tutto d’ intorno non c’era nessuno:
Solo il tetro contorno di torri di fumo

E il vecchio diceva,
guardando lontano:
Immagina questo coperto di grano,
Immagina i frutti e immagina i fiori
E pensa alle voci e pensa ai colori
E in questa pianura, fin dove si perde,
Crescevano gli alberi e tutto era verde,
Cadeva la pioggia, segnavano i soli
Il ritmo dell’ uomo e delle stagioni”
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
E gli occhi guardavano cose mai viste
E poi disse al vecchio con voce sognante:
“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”
Francesco Guccini

Ho voluto aprire questo articolo un po’ anomalo per la nostra rivista con la struggente canzone di Francesco Guccini nella quale il nonno racconta al bambino di com’era la sua terra prima della desertificazione, un testo purtroppo di grande attualità.
Oltre ai cambiamenti climatici che ormai sono sotto gli occhi di tutti e che ci stanno portando in questi giorni gravi problemi legati alla scarsità d’acqua, ci troviamo, ahimè, ad affrontare un altro grandissimo pericolo, meno evidente, ma che potrà avere grande impatto sulle nostre vite: la moria delle api e degli altri insetti impollinatori causata in primis dall’uso smodato di antiparassitari per uso agricolo.
«Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita», la frase attribuita a Einstein contiene un avvertimento che non possiamo più sottovalutare.
Nella nostra coscienza collettiva sappiamo che non possiamo permetterci di perdere le api, che impollinano oltre un terzo dei fiori, dai quali nascono la frutta e la verdura di cui noi ci cibiamo. La moria delle api porterà un paesaggio sfiorito e arido e un sistema alimentare disfunzionale, si arriverebbe a produrre il 75% in meno di prodotti agricoli con un evidente problema di approvvigionamento alimentare ma anche con una secca perdita economica.
Che fare quindi?
Oltre a sperare che i governi regolamentino l’utilizzo di fitofarmaci in agricoltura, valutandone  l’impatto ambientale ed economico, il settore agricolo ancora non viene monitorato a sufficienza sotto questo punto di vista, molto possiamo fare anche noi cittadini.
Ad Oslo, capitale norvegese, sotto la spinta di un gruppo ambientalista a supporto delle api urbane, nel 2015 è nata la prima Autostrada per le api, iniziativa che si è poi sviluppata nel Nord Europa e a Londra ma che ha trovato sostegno ed applicazione anche in Italia in particolare a Milano e a Fiano in Piemonte.
Non parliamo ovviamente di una vera autostrada, ma di un percorso fatto da piccoli habitat accoglienti, giardini pubblici e privati, pensato per facilitare l’attraversamento dei paesi del nostro territorio agli insetti impollinatori, mettendo a disposizione alveari, stazioni di sosta e aree verdi dove nutrirsi e trovare riparo!
L’autostrada per le api è un corridoio verde di 13 km. che attraversa Oslo con stazioni di polline ogni 250 metri che servono per ospitare e nutrire api e calabroni ed aiutarli a sopravvivere in quei contesti urbani dove i fiori ricchi di nettare scarseggiano, mettendo a rischio la loro sopravvivenza. Un corridoio ecologico, ovvero un’area naturalizzata dove piante e animali sono liberi di spostarsi in tutta sicurezza, dove tutti i cittadini sono stati invitati a contribuire alla creazione. Dai tetti delle case, a quelli delle aziende o delle scuole. Dai giardini pubblici, ai cimiteri. Ovunque si è invitati a seminare fiori, essenze e costruire alberghi per gli insetti, così da fornire agli impollinatori cibo e riparo lungo le arterie principali della città.
“Abbiamo modellato l’ambiente secondo le nostre esigenze, dimenticando che anche altre specie convivono con noi”, spiega all’Afp Agnes Lyche Melvær, a capo della Bybi gruppo ambientalista a supporto delle api urbane, attivo in tutto il Nord Europa. “Per cambiare le cose dobbiamo costruire loro dei luoghi adatti dove vivere e alimentarsi”.
Ognuno di noi può aiutare le api in modi molto semplici e diretti. Piantare fiori per loro appetitosi, e non contaminare questi fiori, che sono il loro alimento, con pesticidi. Andiamo su internet e cerchiamo i fiori che sono autoctoni nella nostra zona e piantiamoli. Piantiamoli in un vaso all’ingresso della nostra casa. Piantiamoli nel nostro cortile, nei prati, lungo i viali. Facciamo propaganda affinché vengano piantati nei giardini pubblici, negli spazi comunitari. Preserviamo i terreni agricoli. Abbiamo bisogno di biodiversità di fiori durante tutta la stagione produttiva, dalla primavera all’autunno. Bisogna riconsiderare attentamente la semina di colture di copertura, come il trifoglio e l’erba medica, per nutrire il terreno e nutrire le nostre api. Abbiamo bisogno di piantare siepi e bordi di fioritura lungo le colture per fermare il deserto agricolo alimentare.
Diventiamo anche noi una operosa ed efficiente società delle api, dove ogni nostra singola azione può contribuire a una grande soluzione, dove ognuno di noi può fare la differenza.
Quindi, facciamo in modo che questo piccolo gesto di piantare fiori senza utilizzare pesticidi sia il vettore di un cambiamento su grande scala.
E infine, ma non meno importante, prendiamoci del tempo per ammirare e annusare i fiori, lasciando che ci riempiano gli occhi con la loro bellezza e riscopriamo quel senso  di meraviglia di cui sempre più ci stiamo privando.
Facciamo in modo che la nostra terra rimanga un paesaggio incantato e non un ricordo struggente da raccontare ai nostri nipoti!

Gabriel Betti

 

Sud Dalmazia: Apre il ponte di Pelješac

Apre oggi  25 luglio 2022 al traffico il ponte di Pelješac, nel sud della Dalmazia, il più grande progetto infrastrutturale costruito in Croazia nell’ultimo decennio finanziato per l’80 per cento dai fondi europei.Il ponte, lungo 2.404 metri, collegherà la costa dalmata con la penisola di Pelješac, e in questo modo connetterà Dubrovnik alla rete autostradale nazionaleevitando di passare per la piccola tratta di territorio bosniaco a Neum.Le idee e i piani per la realizzazione di questo progetto esistevano da almeno vent’anni, ma i vari tentativi di avviare i lavori sono stati molte volte fermati a causa degli altissimi costi.
Il ponte dovrebbe far parte dell’autostrada adriatico-ionica che, partendo da Trieste, attraverserà l’intera costa dell’Adriatico orientale per giungere in Grecia. Inoltre, non sarà più necessario attraversare il territorio bosniaco e valicare nel giro di circa otto chilometri due confini di stato.
Il ponte ha anche un grande valore simbolico nazionale poiché unisce territorialmente il Paese e di fatto la regione di Dubrovnik cessa di essere una enclave. Il valore dell’intero investimento è di circa 400 milioni di euro ed è stato realizzato dalla compagnia statale cinese China Road and Bridge Corporation.

Gabriel Betti

Fonte TTG Italia

Appennino Tosco-Emiliano: Archeopark Fortezza di Verrucole, San Pellegrino in Alpe, Passo delle Radici

fortezzaverrucoleL’Appennino Tosco-Emiliano è ormai diventato una delle prime scelte di chi vuole farsi una vacanza di qualità, l’offerta turistica, offrendo in qualsiasi momento dell’anno tesori culturali e paesaggi mozzafiato in grado di soddisfare sia chi predilige una vacanza di tutto relax sia chi ama praticare attività all’aperto, ad esempio camminate o trekking.
Tra le esperienze da non perdere lìArcheopark Fortezza di Verrucole, un luogo imponente e suggestivo incastonato tra i monti della Valle del Serchio, in San Romano in Garfagnana, un vero e proprio museo vivente dove rivivere la vita del castello nel XIII secolo, tra armi, mestieri, rievocazioni storiche, laboratori didattici e spettacoli
Di proprietà della famiglia Gherardinghi tra il X e XIII secolo, nel 1446 la Fortezza di Verrucole passa sotto il dominio della famiglia d’Este di Ferrara  e nel 1986 viene acquisita dal Comune di San Romano in Garfagnana che avvia un lungo periodo di restauro. é dall’incontro tra il Comune e gruppo di rievocazione storica Mansio Hospitalis Lucensis che la Fortezza diventa un vero e proprio archeopark gestito. Il progetto nasce da un sogno coltivato da anni da un gruppo di universitari che vogliono avvicinare il grande pubblico alla storia attraverso una modalità di fruizione interattiva, fisica e non statica come spesso succede in molti musei tradizionali. La Fortezza diventa così un museo atipico, un museo vivente. Già varcando la soglia, il visitatore viene catapultato in un’altra epoca accolto da personale in abiti storici, durante la visita della Torre principale ne rivive la storia e la vita quotidiana, attraverso aneddoti e prove pratiche. Alla visita possono poi essere integrati laboratori didattici di approfondimento e momenti conviviali grazie alla presenza di un piccolo punto ristoro che propone anche specialità storiche.
La Fortezza è raggiungibile in auto o autobus (anche granturismo 12 m). E’ necessario lasciare l’auto all posteggio e proseguire a piedi per circa 500 m (consigliate calzature sportive). Per persone non deambulanti o con difficoltà di deambulazione, grazie al finanziamento Ducato Estense, è attivo un servizio di trasporto alternativo un trenino panoramico. Per prenotare chiamare qualche giorno prima della visita al numero 340.3586862
Lasciata la Fortezza di Verrucole il nostro itinerario prosegue verso il paese di San Pellegrino in Alpe, che si trova a 1525 m s.l.m., dal quale si gode di una vista spettacolare sulla Garfagnana.
San Pellegrino in Alpe si trova proprio al confine tra il versante appenninico modenese e quello toscano della Garfagnana e della Media Valle del Serchio, un tempo caposaldo del sistema di difesa del territorio.
Si tratta del centro abitato più alto dell’Appennino: la vita qui rallenta e si ammanta di poesia e leggende. Si narra che il figlio del re di Scozia, alla morte del padre, rinunciò al trono e alla corona per incamminarsi verso la Terra Santa prima e giungere in Italia poi, dove visse come eremita fin quasi ai cent’anni; pare che scrisse la sua storia sulla corteccia di un albero poco prima di morire e che il suo corpo, vegliato dagli animali, venne trovato da una donna grazie all’apparizione di un angelo in sogno. Era il 643 d.C., e nel luogo dove venne ritrovato sorse poi il santuario dedicato agli eremiti Pellegrino e Bianco e, in seguito, un ospizio per accogliere coloro che accorrevano a venerare i Santi. La particolarità di queste spoglie è la loro posizione: si trovano proprio sul confine fra la regione Emilia e la regione Toscana perciò i santi, posti dietro l’altare maggiore nell’urna dentro il tempietto di Matteo Civitali, riposano con il capo e il busto in Emilia e il resto del corpo in Toscana.
Oltre all’affascinante storia che circonda S. Pellegrino in Alpe, il borgo offre altre attività culturali come il Museo Etnografico di “Don Luigi Pellegrini”, ospitato all’interno dell’antico ospitale che offriva accoglienza, ricovero e vitto ai pellegrini, dove si possono vedere le stanze in cui venivano accolti i viandanti di passaggio, oggetti che raccontano le stanze delle case, dalla cucina alla camera da letto, della vita in montagna, del lavoro del vino, e di altri mestieri tradizionali come l’agricoltura, il ciabattino, il fabbro, il falegname, il telaio e il cucito, il lattaio e l’arte di fare le candele di cera.
Chi desidera esplorare i dintorni con emozionanti escursioni non può perdersi il Giro del Diavolo. Il rito, che si compie da secoli, vede il pellegrino prendere una pietra grande in proporzione al peccato da espiare, salire dal borgo fin sotto il crinale percorrendo una ripida salita di penitenza e infine lasciare la pietra ai “Sassi del Diavolo”, un cumulo di rocce che nei secoli è diventato immenso. Questo rito deriva dalla leggenda secondo cui il diavolo volle tentare al peccato l’eremita Pellegrino, ma questo lo colpì con tanta forza da farlo girare tre volte su se stesso (da qui la tradizione di percorrere tre giri intorno al mucchio di pietre) per poi atterrare sulle Alpi Apuane, addirittura bucandole, creando così quello che oggi è il Monte Forato.
Il sentiero per salire e poi scendere è piuttosto semplice ed è un’occasione anche per ammirare tutto l’Appennino e la Pianura Padana fino alle Alpi e per coinvolgere la famiglia in un pomeriggio di trekking nella natura, con la possibilità di riposare al Rifugio Battisti (o La Foce).
A 1529 m s.l.m. si trova il Passo delle Radici, sorgente del torrente Dragone, un valico che separa la provincia lucchese con quella modenese, mettendo in comunicazione la Garfagnana con la valle dell’alto Secchia. Il Passo è una delle mete più ambite dai motociclisti: dati i percorsi lunghi decine e decine di chilometri che presentano mix di curve, salite e discese spettacolari, il tutto contornato da bellissimi paesaggi.
II passo delle Radici è inoltre un punto di accesso al bellissimo parco regionale del Frignano, parco istituito nel 1988 in Pievepelago grazie alla cooperazione di varie provincie e comuni emiliani. Dentro a questo territorio protetto si possono trovare sia specie rare di vegetali come l’abete rosso, il Cerro, l’Ontano bianco e l’Acero montano che tante varietà di animali, tra cui mammiferi (scoiattolo, daino, marmotta alpina, lupo appenninico e così via) e volatili (Aquila Reale, Piviere tortolino, Allocco, gufo, Corvo imperiale, Fringuello alpino e così via).
Inoltre, la riserva può essere visitata e vissuta in vari modi. Si può vivere il parco in mountain bike, pedalando per i percorsi di downhill lungo l’Appennino oppure seguendo i corsi o iscrivendosi alle escursioni organizzate dal Centro Nazionale Cimone Mtb.
In alternativa, si può vivere il parco a cavallo, cavalcando tra sentieri boschivi, strade e borghi. Come se non bastasse, il parco offre anche attività di orientamento e escursionismo, come l’ Orienteering che consiste nel completare a piedi un certo itinerario sconosciuto, soltanto orientandosi tramite una bussola e una carta topografica.
Un’Appennino tutto da scoprire quindi tra storia, cultura e natura senza dimenticare la possibilità di assaggiare una cucina di confine tra la Toscana e Emilia ricchissima di piatti tipici e di prodotti locali di alta qualità.
Gabriel Betti

Alla scoperta dell’Appennino modenese: il Castello di Montecuccolo e i Ponti medioevali

pontedellafolaAll’incrocio delle strade principali che collegano la pianura padana alla Toscana in Provincia di Modena, poco distante da Pavullo nel Frignano, sorge il castello di Montecuccolo con il suo borgo medievale. Il castello, posto su un rilievo roccioso all’estremità meridionale di una dorsale ricca di boschi che si incunea profondamente nella valle del fiume Scoltenna-Panaro, occupava una eccezionale posizione strategica, ragione non ultima della sua importanza storica, in una zona di rara bellezza paesaggistica.

La rocca fu devastata dai soldati francesi nel 1799 e abbandonata a se stessa per molti decenni. Per opera del Comune, che ne è oggi proprietario è stato concluso il progetto di restauro del Castello e l’attivazione della foresteria. Nei locali della vecchia foresteria, posta tra le Mura troviamo la Locanda del Condottiero con 5 camere a disposizione degli ospiti, che rappresenta uno spazio ideale per respirare la magia della storia, rivivendo un’atmosfera unica, tra ambienti originali, coerenti e rispettosi dell’ambiente seppur dotati di ogni comfort. Luogo ideale per rilassarsi, sorseggiare un ottimo aperitivo in una splendida cornice, degustare prodotti tipici del territorio, conoscere i piatti della tradizione montanara e della storia della famiglia Montecuccoli.

All’interno il Castello conserva poche decorazioni originarie, tra queste  troviamo nel piano nobile un imponente camino di pietra dall’architrave riccamente ornato con al centro il simbolo estense del Diamante, affiancato dallo stemma dei Montecuccoli. Lo stemma dei Montecuccoli è composto da un’aquila posata su sei monti da cui sporgono rametti di olivo. Secondo la leggenda il capostipite Matteo ebbe in sorte Montecuccolo, estraendo da un’urna una coccola d’olivo, mentre il fratello Nereo, estratto un gheriglio di noce, ebbe Montegarullo, dando origine alla famiglia in seguito divenuta nemica. Sullo stesso piano, all’interno della torre di piazza, si trova la stanza dove secondo la leggenda vide la luce nel 1625 il Generale Raimondo Montecuccoli, il più grande capitano italiano del secolo barocco, che regalò fama e notorietà al Castello. Come comandante supremo comandò l’armata ungarica che, alleata del principe di Transilvania, fronteggiò un grande esercito ottomano, forte di più di 100.000 uomini, che dalla Serbia risalivano la vallata della Drava puntando a nord in direzione di Vienna. Montecuccoli ricevette rinforzi dai principati tedeschi e da Luigi XIV di Francia, ma pare che in tutto disponesse di 25.000 uomini. A Szentgotthárd, sul fiume Raab, la città più occidentale dell’Ungheria al confine con l’Austria, il Generale Raimondo ottenne il 1º agosto 1664 la sua più grande vittoria, travolgendo l’esercito ottomano e evitando così all’Austria l’invasione.
Attualmente le sale della rocca ospitano alcune mostre permanenti, tra le quali il Museo Naturalistico del Frignano.

Di grande impatto emozionali la mostra dei “Presepi al Castello” di Giuseppe Ricci. Questi piccoli gioielli di artigianato incastonati in teche e sapientemente illuminati aprono porte di comunicazione con la realtà del passato, grazie al recupero di particolari aspetti paesaggistici, di scorci di case e oggetti di altri tempi, ricchi affezione, amorevolezza e tenerezza, ma anche di valori della tradizione ora perduti. Nei suoi presepi Ricci narra la sua terra e fa rivivere castelli, chiese e borghi del Frignano attraverso il fascino che hanno saputo mantenere nel tempo. Suggestivi teatrini della memoria riproducono interni di abitazioni, botteghe, scuole, frutto di ricordi che rendono omaggio a una civiltà contadina ormai dimenticata.

Continuando alla scoperta del territorio troviamo 5 ponti medioevali di antichissime origini e di disarmante e mantenuta bellezza, accentuata dal paesaggio naturale della catena appenninica, che attraversano in più punti il torrente Scoltenna, padrone serpeggiante della Valle del Frignano.

Alcuni ponti sono decorati con dipinti, altri avvolti in tragiche e sinistre leggende. Il Ponte della Luna, ad esempio, che sovrasta dall’alto lo Scoltenna, è di semplice costruzione con l’arcata a schiena d’asino in pietra ma di notevole altezza rispetto al manto del fiume. Il passaggio del ponte medioevale è stretto, escluso alla circolazione di automobili che possono attraversare il torrente sul moderno ponte immediatamente a fianco. Proseguendo ci si imbatte nel Ponte della Fola e nel Ponte della Fola Alto, situati nel comune di Pievepelago. Il Ponte della Fola è un capolavoro ingegneristico risalente al Medioevo ed è l’unico ponte a due arcate in tutta l’Emilia. Le due arcate sono asimmetriche e a schiena d’asino.

Il ponte della Fola Alto presenta invece un’unica arcata e una vertiginosa peculiarità. Esso scavalca il fiume da un’altezza considerevole poggiando direttamente sulla roccia della gola scavata nel corso dei secoli dall’acqua del torrente. Visto dal basso è impressionante, immerso nel fitto verde della vegetazione, il ponte sembra un braccio naturale che collega le due parti di bosco, separate dall’alto strapiombo per poi ricongiungersi all’altra sponda e reimmergersi all’interno del bosco.

Ma cosa vuol dire fola? Vi sono varie interpretazioni: si potrebbe riferire ai termini di favola, leggenda, racconti che i pastori e i viandanti si raccontavano incontrandosi nei pressi del del sentiero che lo attraversa e che fa parte del cammino di San Bartolomeo, sentiero che collega i luoghi dedicati al culto del santo tra  l’Emilia e la vicina Toscana.

Queste sono solo alcune delle “chicche” che potrete scoprire sull’Appennino modenese, territorio che ben si adatta alle diverse esigenze di famiglie, escursionisti, ciclisti e motociclisti assecondando con le proprie peculiarità le varie necessità e mettendo tutti d’accordo con una eccezionale enogastronomia presente su tutto il territorio.

Gabriel Betti

Rassegna “I Borghi più belli d’Italia” da visitare in treno Borgo di Orta San Giulio

orta_vedutaCaos aerei ed aeroporti, prendiamo il treno e andiamo a visitare alcuni dei Borghi più belli d’Italia senza troppe preoccupazioni.

Come prima meta facciamo un salto in Piemonte, alla scoperta del Borgo di Orta San Giulio. Il paese, in provincia di Novara, è raggiungibile tramite la linea ferroviaria Novara-Domodossola grazie alla stazione di Orta-Miasino. Ciò che rende questo borgo, definito l’acquerello di Dio, una meta privilegiata dell’Italia settentrionale è il suo mix di scorci medievali, palazzi sei-settecenteschi e giardini ricchi di camelie e azalee. Il Touring Club Italiano l’ha, inoltre,  insignito della bandiera arancione, destinata alle piccole comunità dell’entroterra nostrano che offrono un’accoglienza di qualità e si distinguono per la loro eccellenza.

Il centro storico di Orta non è raggiungibile con le auto, dal momento che è destinato completamente ai pedoni. A pochi metri dal parcheggio che sovrasta il paese, ci sono diversi sentieri che conducono verso il lago, passando proprio nel bel mezzo del borgo.

Sulle sponde dell’omonimo lago, Orta San Giulio ha un’atmosfera davvero romantica,  tra le  sue viuzze, dove il tempo sembra essersi fermato, c’è un mondo tutto da esplorare. Il piccolo borgo novarese, possiede un patrimonio storico, artistico e naturale che lo rende una delle mete turistiche per eccellenza. Il centro storico si snoda tra stradine di pietra che arrivano a lambire l’acqua. Il fulcro centrale del paese è Piazza Motta che si affaccia direttamente sulle acque lacustri. Qui sorge il broletto, una piccola costruzione rinascimentale costituita da un portico utilizzato principalmente per il mercato e da un piano superiore chiuso, in cui nei secoli scorsi si tenevano le riunioni dei potenti dell’epoca. Sulla piazza c’è un piccolo porticciolo dal quale, in pochi minuti di navigazione, si può andare all’Isola di San Giulio, detta anche “l’Isola del silenzio” un piccolo gioiello che dista appena 400 metri dalla riva. Attorno a questa piccola isola incantata aleggia una storia molto particolare. Si narra che un tempo l’isola, altro non fosse che uno scoglio abitato da serpi e mostri spaventosi. Nel 390 il Santo patrono del lago, San Giulio, un giorno attraversò le acque del lago sopra il suo mantello e una volta giunto sullo scoglio, fondò una chiesa trasformando l’isola nel centro di evangelizzazione di tutta la regione. Qui il santo, scelse poi di esservi sepolto.

Fra le principali attrattive vi sono la basilica romanica, Villa Tallone, l’ottocentesco Palazzo dei Vescovi e l’Abbazia Benedettina Mater Ecclesiae. Quest’ultima è un convento di clausura femminile nel quale le monache che vivono sull’isola tutto l’anno, si dedicano ad attività molto semplici come la preghiera, al confezionamento delle ostie e alla preparazione del pane di San Giulio.

Appena fuori dal paese, sorge la meravigliosa Villa Crespi, una delle strutture più imponenti del luogo. Al suo interno oggi si trova un hotel e il famoso ristorante omonimo gestito dallo chef Antonino Cannavacciuolo.

Proseguendo troviamo la frazione di Legro dalla quale si domina completamente il lago. La piccola frazione è entrata da qualche anno a far parte del circuito nazionale de  “I Paesi Dipinti” di cui fanno parte oltre 90 località italiane in cui i muri della città sono stati dipinti da artisti di fama nazionale o da sconosciuti pittori che hanno seguito i corsi di tecnica dell’affresco. Proprio come il borgo di Arcumeggia, frazione di Casalzuigno, Valcuvia, in provincia di Varese, anche Legro d’Orta nel 1998, su iniziativa della Pro Loco locale, ha colorato le sue vie con numerosi affreschi, i quali, hanno come tema principale il mondo del cinema.

A Legro vi aspetta un tour alla riscoperta di pellicole molto famose che hanno fatto la storia del cinema. Si tratta di celebri film che hanno scelto come ambientazione proprio le terre del lago d’Orta. Tra gli interpreti di spicco troviamo attori del calibro di: Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Gianni Morandi, Silvana Mangano, Catherine Spaak, Rock Hudson, Agostina Belli, Teo Teocoli e molti altri ancora.

Passeggiando tra i vicoli di Legro, si possono così ammirare affreschi che ritraggono
scene di: “L’Amante Segreta – 1941”, “Riso Amaro – 1949”, “Una Spina nel Cuore – 1986”, “La Voglia di Vincere – 1987”, “La Spia del Lago – 1950”, “Il Balordo – 1978 ” , “I Racconti Del Maresciallo – 1968 – ”, “La Maestrina- 1942”, “Il Piatto Piange – 1974”,“Addio alle Armi – 1957”.

Gabriel Betti